Difesa e “dual use”: verso il recepimento della direttiva 2024/1226

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Difesa e “dual use”: verso il recepimento della direttiva 2024/1226

L’avvocato Antonio Bana, presidente del Cesdea (Centro Studi di Diritto Europeo su Armi e Munizioni), ci ha inviato una prima riflessione scaturita dalla bozza di decreto legislativo all’esame del Parlamento, circa il recepimento della direttiva 2024/1226 che disciplina il mercato dei prodotti per la Difesa con particolare riferimento ai cosiddetti prodotti Dual use. Riceviamo e pubblichiamo:

“Sicurezza, difesa e “dual use”: il nuovo diritto penale europeo nella prospettiva tra corporate compliance e defence policy.

Il Dossier della XIX legislatura del 20 ottobre 2025 relativo all’“Attivazione della Direttiva (Ue) alla definizione dei reati e delle sanzioni per la violazione delle misure restrittive dell’Unione”, ci fornisce nuovi spunti di riflessione tanto in ambito penalistico quanto in merito alla responsabilità giuridica dell’Ente.

Prima di entrare nello specifico e andare ad analizzare quelle che sono le modifiche al libro secondo del Codice Penale disposte all’Art. 3, si impone una breve premessa di carattere generale.

Lo schema del decreto in esame da parte del Parlamento è volto a dare attuazione alla Direttiva Europea 2024/1226 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024 che definisce nuovi reati e nuove sanzioni di natura penale e amministrativa nel mercato della Difesa e rapporti internazionali.

Si segnala preliminarmente, che il 23 luglio u.s. la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia a causa del mancato recepimento della Direttiva europea in esame.

Il punto di partenza è che, sino a oggi, il mercato della difesa è rimasto fuori dal diritto dell’Unione di ogni Stato membro: infatti mantiene un proprio mercato nazionale, disciplinato da norme politiche e procedure di approvvigionamento autonome.

Le esigenze di sicurezza nazionale (art. 346 TFUE, ex articolo 296 TCE) sono state usate come clausole di esclusione sistematica del diritto comunitario sugli appalti pubblici.

Da questo l’effetto è duplice:

  • il primo riguarda la protezione dell’industria nazionale spesso sotto la giustificazione della sicurezza strategica;
  • il secondo attiene agli ostacoli alla concorrenza intra Ue con mercati chiusi, duplicazioni di spese e inefficienze.

Il mercato europeo della difesa, quindi, sino ai tempi recenti è rimasto estraneo al processo di integrazione del mercato interno, continuando a svilupparsi secondo logiche nazionali e protezionistiche.

Per decenni, dunque, la difesa europea si è articolata su 27 mercati nazionali autonomi, ciascuno regolato da legislazioni, politiche industriali e apparati autorizzati.

La conseguenza è stata una frammentazione della struttura: difficoltà di interoperabilità, duplicazione delle capacità produttive e ostacolo all’ingresso di opera, soprattutto nei sistemi di approvvigionamento pubblici.

A partire dagli anni 2000, la Commissione Europea ha cercato di limitare questa prassi mediante una reinterpretazione restrittiva della deroga, ponendo le basi per un lento avvicinamento tra esigenze di sicurezza e logiche di mercato.

Con la riforma del 2009, poi, è iniziato un avvio di integrazione regolata attraverso un percorso di armonizzazione iniziato con il cosiddetto “defense package” del 2009 composto da:

  • Direttiva 2009/43/CE, sui trasferimenti intra dei prodotti destinati alla difesa;
  • Direttiva 2009/81/CE, sugli appalti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza.

Queste norme hanno introdotto strumenti innovativi, quali licenze generali europee per il trasferimento intra di componenti militari, procedure competitive europee per gli appalti, pur salvaguardando la riservatezza e la sicurezza degli approvvigionamenti.

In questo modo, si è così avviata una progressiva convergenza normativa fondata su un equilibrio tra la necessità di garantire la sicurezza strategica degli Stati membri e l’esigenza di favorire la concorrenza, l’efficienza e la cooperazione industriale nel settore.

Senza dubbio, l’evoluzione recente – con l’invasione dell’Ucraina nel 2022 e la conseguenza crisi geopolitica – ha sicuramente accelerato la consapevolezza che la sovranità europea passa anche da una base industriale comune della difesa.

In questa direzione si collocano le iniziative più recenti della Commissione del Consiglio; tra questi ricordiamo il Regolamento UE 2023/1525 EDIPRA (European Defence Industry Reinforcement Through Commonwealth Procurement Act), volto a promuovere acquisti comuni; la proposta di European Defense Industrial Strategy del 2024, che prevede la creazione di un mercato unico della difesa entro il 2030; il Fondo Europeo per la Difesa (EDF), che finanzia ricerche e sviluppi congiunti.

Da questo quadro si evince un obiettivo duplice da perseguire: creare economie di scala e ridurre la dipendenza extra-europea e dotare l’Unione di strumenti comuni di controllo e sicurezza nell’esportazione nel procurement e nella gestione dei beni strategici.

Fatta questa doverosa premessa di carattere generale, ecco dove interviene il legislatore nel modificare anche un aspetto che attiene al diritto penale e alla responsabilità giuridica dell’Ente (ex D.Lgs.231/01).

In questo contesto, quindi si inserisce la delicata materia dei beni e tecnologie “dual use”, cioè suscettibili di impiego sia civile sia militare.

Questa categoria rappresenta oggi il punto di contatto tra il diritto del commercio internazionale, ovvero libertà di circolazione e concorrenza e il diritto penale amministrativo della sicurezza, del controllo delle esportazioni e delle relative sanzioni nelle compliance.

Il nuovo decreto legislativo italiano di attuazione della Direttiva Europea 2024/1226 segna un salto qualitativo in questa direzione, poiché:

  1. introduce reati penali specifici per la violazione delle misure restrittive UE e per l’uso improprio dei beni “dual use”;
  2. estende la responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs.231/01) includendo le condotte connesse a esportazioni, trasferimenti e intermediazioni di tali beni;
  3. attribuisce un ruolo strategico all’organismo di vigilanza, quale snodo informativo di controllo interno sui flussi sensibili.

Siamo di fronte a un imminente passaggio dalla politica industriale europea alla compliance aziendale: per questo motivo il sistema di compliance aziendale ex 231/01 coi suoi flussi informativi e l’attività dell’organismo di vigilanza, diventa oggi strumento operativo di attuazione della politica di difesa europea. In altre parole la corporate compliance si inserisce nella defense policy.

Ma proviamo a dare una risposta al concetto di “dual use”, che oggi più che mai si trova sul confine tra diritto e potere.

Il “dual use” è giuridicamente una categoria tecnica, ma politicamente mi permetto di dire che è anche una zona grigia, ovvero una soglia tra ciò che è commercio e ciò che è strategia, tra ciò che è mercato e ciò che è difesa.

Pensiamo, per esempio, a un software di crittografia, a un drone, a una lega metallica speciale: sono tutti strumenti che servono tanto all’industria quanto alla difesa. Ecco perché la loro circolazione deve essere regolata con equilibrio, senza frenare l’innovazione, ma impedendo che diventi veicolo di minaccia o violazione delle sanzioni internazionali.

Il nuovo decreto stabilisce, appunto, che la violazione delle misure restrittive anche colposa costituisce reato.

In questo modo si puniscono le condotte di esportazione, intermediazione e fornitura di beni “dual use” in violazione delle restrizioni UE, e si prevede la responsabilità penale e amministrativa delle persone giuridiche.

Ed è qui, appunto che entra in gioco il Decreto Legislativo 231 del 2001.

Entriamo nel cuore dell’argomento per capire qual è l’importanza della portata di queste modifiche anche da un punto di vista di responsabilità giuridica dell’ente ex D.Lgs. 231/01.

Il legislatore europeo e nazionale, infatti, riconosce che la sicurezza non è più solo un fatto di Stati, ma anche di imprese, di catene del valore e di flussi informativi.

L’articolo 25-octies 2 del Decreto 231 estende la responsabilità dell’ente alle violazioni delle misure restrittive e dei beni “dual use”, imprimendo delle sanzioni severe (dall’1 al 5% del fatturato globale annuo) per i reati principali (esportazioni vietate, elusione delle misure restrittive), fino alle sanzioni interdittive di sei anni; dallo 0,5 all’1% del fatturato per omissioni informative.

Nel caso non sia accertabile il fatturato, la sanzione pecuniaria prevista è da 3 milioni a 40 milioni di Euro.

Per quanto attiene alle sanzioni interdittive, fino a 6 anni di interdizione da attività o contratti pubblici, revoca di autorizzazioni e finanziamenti, pubblicazione della decisione e confisca dei beni.

Da ultimo, nel caso di recidiva e in caso di reiterazione, le pene pecuniarie aumentano di 1/3.

Nel nuovo decreto citiamo come esempio di novità, come riportato nella relazione illustrativa quanto segue:

L’art. 4 invece reca modifiche al codice di procedura penale finalizzate a recepire gli interventi in materia di sanzioni per violazioni di misure restrittive dell’Unione.

Si prevedono, infatti, l’attribuzione di competenza sulle indagini alla Procura distrettuale e, dall’altro, il termine di durata massima delle indagini preliminari pari a 2 anni.

Ma più importante ancora della sanzione è forse quel concetto di filosofia che l’impresa è chiamata diventare presidio attivo di legalità internazionale per prevenire e non solo a reagire.

Anche l’Organismo di Vigilanza ha un suo ruolo attivo sul palcoscenico della compliance, ovvero quel presidio dell’etica e della sicurezza europea. In questo quadro l’Odv assume un ruolo nuovo, quasi strategico, e non è più soltanto un controllore interno, ma diventa un nodo di interconnessione tra il sistema aziendale di compliance, le autorità nazionali (UAMA, MEF, GdF) e, indirettamente, le istituzioni europee come Eurojust e Commissione EPPO.

Per quanto attiene, invece, all’OdV questo deve garantire quindi la tracciabilità delle operazioni “dual use”, ricevere i flussi informativi interni dalle aree export, finanza, legal e compliance e trasmettere all’organo amministrativo – e se del caso all’autorità giudiziaria – ogni sanzione rilevante. Non è un ruolo burocratico, ma una garanzia democratica che preserva la trasparenza, la lealtà e la coerenza tra l’azione economica e gli obblighi internazionali dell’Unione.

L’etica, quindi, diventa potenzialmente una frontiera di sicurezza. Oggi il diritto europeo della difesa non è più soltanto un diritto di deroghe, ma un diritto di responsabilità: una responsabilità degli Stati , delle Istituzioni ma anche delle imprese e dei professionisti che lavorano all’interno di esse.

Giova ricordare che i prodotti per la difesa si dividono in due categorie: gli hard-defence material (carri armati, aerei da combattimento, navi da guerra, missili, ecc.) che possono essere utilizzati esclusivamente a fini militari; i dual use material o soft-defence material (veicoli, aerei da trasporto, navi di salvataggio, tende, ecc.) sono invece materiali che possono essere utilizzati per scopi sia militari che civili. I primi possono essere esclusi dall’applicazione del Trattato Ce ai sensi dell’art. 296.1 lett. b, mentre i secondi non sono coperti da tale norma.

Quando parliamo di compliance, di 231, di flussi informativi e di Organismi di Vigilanza, non stiamo parlando di mera procedura, ma eo di fare sicurezza in futuro: una sicurezza fondata sulla legalità, sulla cooperazione e sulla trasparenza.

L’attuazione della direttiva UE segna un cambio di paradigma, le violazioni di misure restrittive e i flussi dual use non sono più solo materie amministrativa o di politica estera, ma diventano reati penali centrali per la sicurezza economica europea.

Per gli operatori economici, avvocati e pubbliche amministrazioni, questo implica una maggiore rigore alle procedure di autorizzazione e controllo un obbligo di compliance integrata tra export control antiriciclaggio e sanzioni internazionali e una nuova attenzione alla formazione personale e alla traccia abilità delle operazioni”.

Per leggere il testo dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2024/1226, CLICCA QUI.

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Fonte: armietiro
Difesa e “dual use”: verso il recepimento della direttiva 2024/1226